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Agustí Chalaux de Subirà.

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Note autobiografiche di Agustí Chalaux de Subirà (1911-2006).

Capitolo 9. LA SOTTILE SERVITÙ DELLA CULTURA

Le caratteristiche della moneta anonima favoriscono inoltre la monetizzazione, la mercantilizzazione e la prostituzione di molti aspetti umani, perfino dei più immateriali (formazione, informazione, ricerca, salute, diritto, politica, arte, spirito....), mentre, paradossalmente, non aiutano a risolvere in modo soddisfacente le funzioni più basilari della moneta: facilitare lo scambio di beni (e non mali) e di servizi (e non disservizi), e permettere l'equilibrio tra produzione e consumo-investimenti in società complesse che non possono usare il baratto.

Uno dei problemi fondamentali per un cambiamento di direzione della civilizzazione occidentale verso un maggior rispetto per le altre culture del pianeta e verso la natura, è la mancanza di capacità critica e creativa dei "creatori di cultura", sottoposti a una dipendenza più o meno riconosciuta nei confronti degli Stati (il "pubblico") o di imprese (il "privato"), che determinano e favoriscono programmi e progetti per mantenere il sistema.

Il fallimento dello sviluppo nei cosiddetti "paesi arretrati" mette in evidenza non soltanto un devastante neocolonialismo culturale ed economico, ma ancor più la povertà della cultura occidentale, che identifica il "buon vivere" e la "qualità della vita" con la produzione ed il possesso di oggetti. Non ogni bene mercantile (che fa crescere il PIL) costituisce un bene oggettivo per la persona, per la società e per la natura, bensì in molti casi partecipa ad un male o lo costituisce esso stesso (pregiudicando la salute, esaurendo risorse, stabilendo sistemi di dominio...). Si può dire lo stesso per i "servizi". La libertà non si può ridurre a scegliere tra una serie di opzioni date, quando invece dovrebbe soprattutto permettere di creare nuove opzioni.

Il settore economico che sta acquistando maggiore importanza nei paesi "sviluppati", al di sopra del settore secondario (industria) e di quello primario (materie prime), è il cosiddetto settore terziario (servizi). Questo è un conglomerato di attività molto eterogenee che vanno dalla burocrazia alle libere professioni; dai trasporti alle comunicazioni alla politica; dai servizi di pulizia a quelli informatici...

Un'altra grande classificazione dell'economia è quella che separa le attività "pubbliche" da quelle "private". Così, in relazione al settore terziario, possiamo avere "servizi pubblici" e "servizi privati".
Un'ulteriore distinzione, non altrettanto abituale, anche se non meno importante per cercare di fare chiarezza in questo complesso settore, è quella che separa le attività lucrative da quelle senza finalità di lucro.
La mancanza di chiarezza teorica e pratica rispetto a questi diversi "statuti", produce, come ognuno sa, grandi ripercussioni sociali, politiche ed economiche.

Nel dibattito su servizi pubblici e servizi privati sarebbe opportuno chiarire se si considerano azioni analoghe -rette dallo stesso tipo di dinamica del mercato- produrre patate o assistere un malato, costruire case o fare il sindaco, costruire macchine o fare il giudice, stampare libri o fare il maestro...
Di solito si considera che i servizi pubblici sono quelli che dipendono da qualche istituzione dello Stato, che -come rappresentante, almeno in teoria, del bene comune- assume quel servizio, in quanto ritenuto di utilità pubblica, al di fuori delle leggi del mercato (gratuitamente o a prezzi politici); l'altra caratteristica, conseguente, è che sono gestiti da funzionari.
I servizi privati, invece, sono quelli mercantilizzati, cioè quelli per i quali l'utente paga ciò che gli viene chiesto dal mercato, formato dai professionisti del settore o dai proprietari dei servizi.

Il risultato è che l'utente, in alcuni casi, come per esempio nella sanità, deve pagare mensilmente una considerevole somma alla Sicurezza Sociale -ricevendone in cambio un servizio deficiente, per la sua burocratizzazione e massificazione- e, come se non bastasse, deve pagare la medicina privata -a volte lo stesso medico che lo riceve in tre minuti nell'ambulatorio della Sicurezza Sociale. Cose del genere si ripetono, in forme per ciascuno peculiari, nel caso dell'insegnamento pubblico e privato, dei mezzi di comunicazione pubblici o privati, della polizia pubblica o privata (servizi di vigilanza e sicurezza), delle assicurazioni e pensioni private e pubbliche, dei trasporti privati e pubblici, della ricerca pubblica e privata...
Sembra che tutto questo genere di servizi abbiano bisogno, per il loro buon funzionamento, di libertà, tanto da parte di chi li esercita come da parte di chi, a seconda dei casi, ne usufruisce. Sono dei servizi che possono degenerare facilmente, per ragioni diverse, sia quando si statalizzano e burocratizzano, sia quando si mercantilizzano diventando elitisti.
Non potremmo cercare un tipo di statuto differente dagli attuali, che favorisca la gratuità -l'accesso a chiunque senza discriminazioni- ed insieme la qualità e la libertà, tanto per i professionisti come per l'utente? Come applicare nella pratica un modello di questo genere senza cadere in abusi e privilegi, e neppure in nuove burocrazie inefficienti?

Questo insieme di attività presenta un altro problema alquanto importante: chi paga, comanda. E chi comanda nel mondo del "sapere" comanda anche, in un modo o in un altro, sulle coscienze delle persone. La polemica tra pubblico (bene comune) e privato (lucro privato) è falsa. Lo Stato è divenuto un bene privato, una corporazione che difende i suoi privilegi (e quelli dei grandi privati che la dominano), e che possiede tutti i mezzi coercitivi (leggi, polizie, eserciti, giudici...) di cui i piccoli privati non dispongono. Si è venuta a stabilire una lotta, o una zuffa da baraccone, tra due "privati" -con interessi a volte comuni, a volte contrapposti- che esercitano entrambi il potere del "sapere" sulla popolazione. La reale libertà dell'utente risiede soltanto nella possibilità di scegliere tra la medicina privata e la pubblica, tra la scuola privata e la pubblica, tra l'informazione privata e la pubblica... Ciascuna presenta i suoi vantaggi e svantaggi, ma entrambe sono terribilmente gelose della medicina libera, delle scuole libere, delle radio libere..., che non presentano impostazioni di dominazione o di asservimento. L'utente non ha la libertà di scegliere un altro tipo di servizio, e addirittura, in taluni casi, può venire sanzionato o finire in prigione per averci provato. Perchè si mantengono queste strutture così irrazionali, presentate sotto il nome di "Stato del benessere"?

Ed ecco l'ultimo meccanismo: gli interessi creati. Ciò che è "pubblico" viene pagato da tutti coloro che sono obbligati a versare le tasse, ma i principali meccanismi di presa di decisione sul come vengono spesi i denari pubblici, e come si organizzano i servizi pubblici, sono solitamente prostituiti da situazioni legali ed illegali, ma reali. Ed ogni prostituzione significa pagare un prezzo, un prezzo che si fa via via più alto quanto più trascendentale è il potere del prostituito. Per la via legale, la prostituzione della democrazia comincia col sistema elettorale e con l'incredibile sistema di finanziamento che obbliga tutti i partiti a vendersi a chi possiede i denari sufficienti per pagare le immense somme delle campagne elettorali. Industriali e banchieri sono coloro che finanziano, legalmente, i partiti! Se vincono, la generosa riconoscenza. Se perdono, la schiavitù del debitore. Legalmente non si può dimostrare quasi niente, ma tutti lo pensano e "lo sanno". La corruzione e la bustarella sono la più patetica realtà del potere. Vengono fuori soltanto quando interessa screditare questo o quel concorrente creando uno scandalo.

La Giustizia, terzo braccio indipendente, concepita per proteggere il diritto e difendere i cittadini dagli abusi di potere, si trova impastoiata in analoghi lacci, assoggettata al "potere pubblico" (attraverso l'esecutivo) e a quello "privato" (per via della corruzione e delle caste sociali a cui appartengono molti suoi funzionari).
I numeri chiusi escludono migliaia di professionisti formati per migliorare quantitativamente e qualitativamente questi servizi, e i concorsi per i posti di funzionario pubblico nel settore non sempre favoriscono l'accesso ai meglio preparati dal punto di vista delle qualità umane specifiche, bensì alle persone capaci di superare delle prove mnemoniche che non dimostrano nulla rispetto all'arte di esercitare una professione.

Oltre ai servizi pubblici e privati, il settore terziario riunisce un insieme di attività culturali apparentemente più libere: quella degli artisti (scrittori, poeti, pittori, scultori, architetti, grafici, pubblicisti, attori, direttori di produzioni audiovisive...). Tutti questi creatori di cultura non sono facilmente valutabili in termini di produttività, e normalmente dipendono dal mondo fortunoso ed altalenante degli "editori" e dei "produttori", delle promozioni e delle speculazioni. Possiedono una grande influenza sociale, tanto per giustificare e mantenere un assetto sociale, come per sovvertirlo. La loro burocratizzazione, così come la loro mercantilizzazione, garantiscono la morte della cultura trasformatrice.

Per concludere questo ripasso, dobbiamo situare anche quelle che abbiamo definito entità o attività non lucrative. L'obiettivo di queste entità è quello di beneficiare i propri soci o un determinato settore sociale, senza che nell'attività che viene realizzata si producano guadagni monetari. Le entità non lucrative, senza finalità di lucro, muovono denari, ed alcune -come quelle sportive o le casse di risparmio- ne muovono molti, ma i benefici devono venire reinvestiti. Non ci sono azionisti, ma soci. Queste entità non possono essere catalogate come pubbliche (per quanto svolgano una funzione pubblica, non sono statali) e neppure come private (benchè siano gestite da privati, non hanno finalità di lucro). Alcune vengono considerate addirittura "corporazioni (private) di diritto pubblico". Molte di queste entità vivono in parte delle quote dei soci, in parte di sovvenzioni pubbliche ed in parte di sponsor privati. E dunque non sempre possono mantenere la loro pretesa indipendenza.

C'è infine un altro tipo di "servizi", mezzo legali e mezzo illegali, da alcuni considerati liberi e da altri "coatti", che hanno a che vedere col sesso e con l'affetto. Per quelli che considerano la prostituzione come un fatto libero e naturale, questa dovrebbe trasformarsi in un servizio, pubblico o privato, ma comunque "sicuro" e "degno". Probabilmente questo è uno dei casi più rappresentativi di ciò che finora si andava dicendo. Una cosa è accettare che, per vivere, si debba vendere la propria forza lavoro, ed un'altra che si debba vendere se stessi (o cosificare una parte di se stessi). L'affetto, il sesso, così come lo spirito e la coscienza, sono realtà troppo speciali per potergli dare un prezzo, per mercantilizzarli senza distruggere la persona e la sua dignità. E solitamente non lo si fa se non è per sopravvivere. Se ciascuno disponesse di mezzi per vivere degnamente, non sarebbe tanto facile che bambini, adolescenti e adulti lasciassero mettere un prezzo alla loro intimità.
Ed al fianco del sesso, lo spirito. La prostituzione dello spirito, col mercato delle religioni, si aggiunge alla prostituzione della politica, della cultura, dell'arte. Il denaro, oscuro, imputridisce ogni cosa, in queste sfere. Nelle grandi chiese e nelle sette. Tutta questa "sovrastruttura" possiede la capacità di suscitare e guidare gli aneliti di liberazione più profondi, o viceversa "alienare" le persone ed i popoli. Questo è il suo potere, e coloro che "pagano" conoscono perfettamente la rendibilità del loro investimento a fondo perduto!

Dopo questi anni di esperimenti con la pianificazione statale, sembra non rimanga altra strada che quella di accettare che il mercato, in determinate condizioni e luoghi, può essere un buon meccanismo di produzione e distribuzione della ricchezza. Il problema è che bisogna precisare molto bene queste condizioni. E ancor più occorre distinguere ciò che è mercantilizzabile da ciò che non può esserlo, perchè produce effetti secondari che vanno in direzione opposta a quella perseguita.
La competitività, quando non è sleale, sembra un buon sistema per sviluppare la "competenza", la capacità di efficienza responsabile in qualunque ambito economico. Ma dobbiamo riconoscere che la sua condizione basilare, la lealtà, solitamente non si compie. Senza contare che, per altro verso, competitività non vuol dire sempre finalità di lucro, nè emarginazione dei perdenti, e neppure mercantilizzazione di tutte le realtà naturali o di tutte le attività umane. Può esservi "competenza professionale" senza "competitività mercantile", quando esistono motivazioni ulteriori rispetto a quelle mercantili. Per tanto, bisogna porre al mercato quei limiti al di fuori dei quali la sua funzione efficientista diviene viceversa perturbatrice e controproducente.

Analogamente, la comunitarizzazione può risultare molto adatta per preservare e potenziare spazi naturali ed umani in cui possa svilupparsi il lato non produttivista della vita. D'altro canto la comunitarizzazione non è sinonimo di statalizzazione, e quando si radicalizza ed esce dagli ambiti suoi propri crea ugualmente disfunzioni gravissime.
Quali sono, dunque, gli ambiti specifici e complementari del mercato e del "comunitario", della libertà e della solidarietà, del privato e del comune, del lucrativo e del non lucrativo? Ed una volta definiti tali ambiti, come favorire la dinamica propria di ciascuno di essi senza interferenze nè dipendenze surretizie degli uni sugli altri?
Il mercato regola bene ciò che necessita l'intercambio quantificato in un quadro di abbondanza, di crescita, di illimitatezza. Però risulta che la realtà ha dei limiti -più o meno immediati, ma ne ha. Senza pretendere di essere esaustivi, e tenendo conto della problematica posta e delle possibilità di soluzione pratica, ci sono tre grandi ambiti che attualmente percepiamo come spazi che dovrebbero essere smercantilizzati, o protetti da una possibile mercantilizzazione:

- La natura, le risorse naturali, specialmente quelle fisse (come la terra), quelle esauribili e non rinnovabili (come i minerali fossili), e quelle non riciclabili, sono cose difficilmente mercantilizzabili senza che ciò metta in pericolo la sopravvivenza della vita nel pianeta.
-L'essere umano, le sue relazioni interpersonali, le sue istituzioni culturali e comunitarie sono anch'esse difficilmente mercantilizzabili perchè di difficile misurazione (molto più qualitative che quantitative), e perchè il potere del denaro può trasformarle in pericolosissime armi di potere contro le persone, attraverso la manipolazione e l'alienazione della loro intimità.
- Il denaro, di per sè principale strumento della mercantilizzazione della realtà, diventa un'arma mortale quando lo si mercantilizza, quando gli si lascia acquisire autonomia sulla realtà del mercato -e, in alcuni aspetti, della comunità-, per il fatto che sconvolge e sbilancia il mercato e la società reali (inflazione e deflazione monetaria; speculazione di titoli e di valuta).

Però, chi e come deve vegliare per questa smercantilizzazione della natura, delle persone e della moneta? Quali sono i limiti della "comunità" e, soprattutto, di colui che storicamente pretende esserne il rappresentante?
Se il mercato deve avere dei limiti, lo Stato pure. Questo -con tutte le sue istituzioni di governo, a tutti i livelli ed in tutti gli ambiti- non dovrebbe interferire nella dinamica del mercato facendogli una competenza sleale; i servizi che offre dovrebbero essere gratuiti e di libero esercizio, e non dovrebbe avere participazioni in imprese mercantili di produzione o di servizi.
Per la gestione delle risorse naturali bisognerebbe trovare il modo di assegnare al costo delle materie prime "comunitarie" delle "tasse verdi" per proteggere le risorse, per ricercare dei succedanei, per favorire il riciclaggio dei rifiuti e per impedire l'inquinamento. Il suolo dovrebbe passare ad essere proprietà comunitaria -non statale- e dovrebbe venire dato in affitto a lungo termine per funzioni ben determinate. Questo faciliterebbe la protezione delle risorse e anche un ordinamento razionale ed ecologico del territorio.

Una moneta adeguata potrebbe svolgere un ruolo importantissimo per evitare le sue proprie disfunzioni e per rendere fattibile questo piano di smercantilizzazione di alcuni ambiti. È molto probabile che senza uno strumento monetario diverso dall'attuale qualsiasi tentativo di cambiamento in tutti questi ambiti sia destinato all'insuccesso. Il denaro continuerà a fluire impunemente ed oscuramente da un settore all'altro, per corrompere funzionari, per far vincere una fazione politica, per manipolare notizie, per bloccare invenzioni e ricerche, per assopire le coscienze, per prostituire la cultura, per speculare sulla terra e sul denaro stesso.

Se si vogliono distinguere ambiti mercantili e non mercantili occorrono strumenti che ne favoriscano la distinzione. In questo senso si tratta di vedere se è possibile un sistema monetario che, oltre ad essere personalizzato -che lasci traccia e responsabilizzi- sia adattabile ad ogni settore, ambito ed attività, e che non consenta d'infrangere impunemente i limiti di ciascuno. Come vedremo nei prossimi capitoli, si può immaginare un sistema nel quale esista una sorta di "moneta specializzata": una "moneta" che possa essere usata soltanto per finanziare ciò che non è mercantilizzabile, ed un'altra per ciò che è proprio del mercato; una "moneta" che renda evidente la legalità dell'intercambio; un'altra che faciliti, senza burocrazie, la comunitarizzazione del suolo e l'applicazione di tasse verdi sull'estrazione di materie prime e sull'inquinamento...

* *

Per rimarcare l'importanza del tema, vogliamo terminare con alcune testimonianze di persone che ci hanno colpito e che mettono in evidenza in modo crudo, dall'interno delle rispettive professioni -comunicatori di massa e giuristi- il problema del peso della mercantilizzazione e del funzionariato.

Agli inizi del secolo, Joan Puig i Ferreter (1926) esprimeva assai bene lo stato di servitù della cultura. "Perchè noi giornalisti, che ci poniamo al servizio di un'impresa industriale, stiamo peggio degli schiavi. La nostra servitù è ancora più rivoltante. Io venderei con gioia i servizi del mio corpo. Mi piacerebbe conoscere un mestiere: rilegare, fare scatole di cartone... -mettere a frutto otto ore di lavoro per guadagnarmi il sostentamento. Mi sembra che per me sarebbe un'allegria. Invece non posso sopportare senza risentimento, tristezza ed amarezza la servitù dell'anima e dell'intelligenza."

"L'asino del mulino procura acqua per irrigare i campi. E noi cosa irrighiamo? Promuoviamo la stoltezza, l'ignoranza, la menzogna e l'imbecillità. Stimoliamo coloro che fanno affari, serviamo de trampolino a tutti gli audaci e gli svergognati che ci sono al mondo; ci inchiniamo davanti a tutti, incensiamo i cretini e gli idoli di latta. Appoggiata a noi sopra la nostra stupida servitù, crescono la ricchezza, la gloria, la vanità, l'autorità, l'abuso ed il crimine; e noi ci consumiamo nella miseria, nell'oblio e nel risentimento. Ed osiamo dirci intellettuali!... E ci comprano con biglietti per la corrida [...], spettacoli benefici, stipendi da manovale e ricevimenti aristocratici."

Benchè siano cambiate molte cose, ancor oggi continua una sottile servitù della cultura che si esprime in modi diversi, ma non meno corrosivi, tanto se il dominio è "privato" come se è "pubblico". Il conosciuto linguista Noam Chomsky (1988) è assai chiaro nella sua analisi del sistema di comunicazione di massa negli Stati Uniti, paese considerato come un emblematico "guardiano della libertà".

"I mezzi di comunicazione di massa degli USA [...] permettono -addirittura promuovono- energici dibattiti, critiche e dissidenze, sempre e quando rimangano fedeli al sistema di ipotesi e principi che costituiscono il consenso dell'elite, un sistema tanto potente che può essere in gran parte interiorizzato, senza esserne consapevoli." "L'opinione pubblica è esposta a potenti e persuasivi messaggi che provengono dall'alto ed è incapace di stabilire un contatto significativo attraverso i mezzi di comunicazione in risposta a questi messaggi [...] I dirigenti hanno usurpato un'enorme quantità di potere politico ed hanno ridotto il controllo popolare sul sistema politico utilizzando i mezzi di comunicazione per generare sostegno, accettazione ed una evidente confusione tra l'opinione pubblica -citando W. Lance Bennett."

E continua: "Nei mezzi di comunicazione, così come in altre grandi istituzioni, coloro che non mostrino i valori ed i punti di vista richiesti saranno considerati "irresponsabili", "ideologici" o in qualche modo aberranti, e tenderanno ad essere messi da parte. [...] Quelli che si adattino, magari onestamente, avranno la libertà di esprimersi con scarso controllo da parte dei superiori, e potranno affermare, con ragione, che non sono oggetto di alcuna pressione per adattarsi." "Un giornalista che non desideri lavorare duramente può sopravvivere, e perfino acquisire rispettabilità, pubblicando informazione (ufficiale o confidenziale) proveniente dalle fonti abituali; queste opportunità possono venire negate a coloro che non si accontentano del fatto di trasmettere le interpretazioni della propaganda dello Stato come se si trattasse della realtà."
"Per riassumere, i mezzi di comunicazione di massa degli USA sono istituzioni ideologiche efficaci e potenti, che portano a termine una funzione propagandistica di sostegno al sistema attraverso la loro dipendenza dalle forze del mercato, le ipotesi interiorizzate e l'autocensura, e senza una coercizione aperta e significativa."

Il decisivo mondo della comunicazione soffre di questi mali, ma non è l'unico. L'Amministrazione della Giustizia, almeno in Spagna, è un altro buon esempio di ciò che stiamo dicendo. Joan Roig Plans (1991), conclude un recente studio dicendo che "senza una terapia d'urto, vediamo difficile uscire dalla voragine attuale".

"La mancanza di qualità del lavoro dei professionisti [va] molto legata ad una scarsa o inesistente vocazione, a conseguenza dell'avere scelto la professione come un lavoro con la stabilità del funzionario oppure, nel caso dei liberi professionisti, mercantilizzando gli uffici professionali. In ogni caso, facendo in modo che la motivazione principale del lavoro sia l'ottenere dei guadagni, invece che il senso della giustizia o, addirittura, il gusto del lavoro fatto bene."

Considera che "essere in causa è riservato ai ricchi, o ai disperati che si trovano in situazioni limite". "L'alto costo che comporta l'essere in causa determina che i cittadini -e principalmente quelli che soffrono di ristrettezze economiche- rinuncino a far valere i loro diritti in tribunale. E ciò, ovviamente, in beneficio di interessi illegittimi. Per altro verso, comporta anche che, disponendo di mezzi economici, si possano ottenere, illegalmente -e, paradossalmente, attraverso la minaccia di una causa- delle concessioni da parte di chi ha difficoltà a far fronte alle spese." "Il sistema di onorari per la retribuzione del lavoro dei liberi professionisti che intervengono nell'Amministrazione della Giustizia non è imparziale perchè gratifica principalmente in base al valore delle questioni."

Ritiene che "un'Amministrazione di Giustizia inefficace propizia la difesa degli interessi e la realizzazione dei diritti al margine dei meccanismi legali e, per tanto, con un alto rischio di arbitrarietà. Inoltre, genera nella cittadinanza il senso dell'impunità delle azioni illegittime, produce sconforto e scetticismo e, in definitiva, la perdita di fiducia e riconoscimento collettivi, che sono essenziali per un benessere solidario".

Sorprende positivamente l'audacia di alcune delle alternative che propone: "promuovere la creazione di tribunali di deontologia misti, con membri delle distinte professioni giuridiche, e con giurisdizione disciplinare sui professionisti di ciascuna di esse, per assicurare che si evitino le impunità che possono motivare reazioni corporativiste" e "che il lavoro degli avvocati e dei procuratori sia retribuito dallo Stato, con assoluta proibizione di ricevere qualunque emolumento privato come pagamento di un lavoro di difesa giudiziale".

Note:

1 PUIG I FERRATER, Joan (1926), Servitud, Edicions 62, Barcelona, 985, p. 66
2 Idem, p. 91.
3 Chomsky, Noam, i Herman, Edward S., (1988), Los guardianes de la libertad, Crítica, Barcelona, 1990, p. 348.
4 Idem, p. 349.
5 Idem, p. 350.
5 Idem, p. 352.
7 Idem, p. 353.
8 ROIG I PLANS, Joan, Alternatives per a un funcionament més eficaç de l'Administració de la Justícia, intervento presentato a l'"Aula Provença", Barcelona, 14-II-1991.



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