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Note autobiografiche di Agustí Chalaux de Subirà (1911-2006).


Capitolo 15. NON C'È RITORNO:
LA CONDANNA D'OCCIDENTE.

L'ipotesi che consideriamo più viabile e positiva è la seconda: questa opzione, vale a dire la modificazione del sistema monetario, diventa una possibilità ed una necessità immediata (per uscire dalla "storia ufficiale" iniziata con la moneta anonima, la scrittura, la corruzione e l'imperialismo), con la speranza che aiuti a camminare verso la prima opzione (smonetizzazione e smercantilizzazione) in un altro stato storico per il momento improbabile a medio termine.

Il fallimento del ritorno al comunismo-collettivizzazione attraverso la forza è assai più drammatico ed eloquente di quanto non lo sia il fallimento del ritorno ai comunitarismi volontari d'ispirazione cristiana o hippie. Nei due casi c'è stata una confusione tra "comunità di origine etnica", fortemente endo-strutturate, e "comunità volontarie" più o meno liberamente "co-elette". La collettività, se si costituisce liberamente, può giungere a comunitarizzarsi etnicamente/eticamente come culminazione di lunghi processi. Purtroppo, né la libertà, nel caso comunista, nè un margine di tempo sufficiente nel caso comunitarista hanno accompagnato questi tentativi di "ritorno alle origini" compiuti in questo secolo ad Occidente.

Privo di comunità reali, radicate e strutturate attorno al dono reciproco al proprio interno, ed al baratto con l'esterno, l'Occidente è condannato a funzionare grazie alla specializzazione produttiva su una grande scala di popolazione. E di fronte a questo dato, tanto la prima alternativa (smonetizzazione) come la terza (la moneta non costituisce un tema-chiave) possono divenire illusorie o irresponsabili. Continuare a considerare come si è fatto fino ad ora che il tipo di moneta non è un elemento chiave significa, di fatto, accettare le cose cosí come sono e privarsi di un possibile strumento per modificarle.

Dappertutto, al nord come al sud, ad est e ad ovest, sotto il capitalismo e sotto il socialismo, la corruzione (più o meno sottile) è onnipresente, e gli squilibri monetari di uno Stato si ripercuotono nel bene e nel male sull'economia di tutti gli altri. Il divorzio tra il denaro e la produzione reale risolleva o precipita la vita di milioni di persone, condannandole alla fame o all'opulenza.

Cominciano ad esserci persone di tutti i continenti che, a partire dalla loro esperienza di vita non occidentale o da una ricerca antropologica, mettono in dubbio che la civiltà occidentale sia poi cosí benefica come la si è voluto presentare fin'ora, non solo per le altre culture ma persino per i suoi stessi figli. Cominciano a sorgere voci che dimostrano la necessità di un cambio di direzione e di senso se non vogliamo continuare per i cammini della distruzione. Cominciano a sentirsi voci che denunciano l'incapacità della cultura occidentale, abbagliata dai suoi miracoli tecnologici, per comprendere i contributi e le dinamiche delle altre culture...

"L'economicidio consiste nel distruggere le basi economiche di reciprocità delle comunità, vuoi per imporre la privatizzazione, vuoi per imporre la collettivizzazione. Questo economicidio è oggi l'arma più segreta, e probabilmente la più efficace, dell'Occidente contro il "Terzo Mondo" (contro i 2/3 del mondo)."

"La collettivizzazione [...] sopprime l'individualizzazione della casata, il prestigio o la responsabilità personali, e per tanto ostacola qualunque forma di competizione tra gli uni e gli altri per produrre di più e meglio. Agli individui non resta altro, come motivazione alla produzione, che l'autoconsumo biologico. La collettivizzazione costituisce dunque una dinamica di sottosviluppo delle comunità di reciprocità. Il suo fallimento è evidente nelle società contadine dell'(ex-) Unione Sovietica, dell'(ex-) RDA, della Polonia, della Cecoslovacchia, del Vietnam, del Nicaragua, della Cina, almeno fin quando quest'ultima non riabilitasse la coltivazione familiare e comunitaria."

"La confusione tra comunità e collettività è definitiva e altrettanto grave quanto la confusione tra carità e dono, in cui cadono la maggior parte di organizzazioni non governative di aiuto al Terzo Mondo."

"Il terzomondismo d'ispirazione marxista non funziona molto meglio dell'aiuto capitalista al Terzo Mondo. Uno utilizza lo sviluppo come cavallo di Troia per distruggere l'economia del Terzo Mondo, l'altro si rifiuta di riconoscere il dono -il regalo- e la reciprocità come fondamento di un altro sistema economico, differente dal cambio generalizzato." "Entrambi mostrano di obbedire alla logica di [un mercato di] scambio, mentre è sulla reciprocità che si fonda la comunità."

Riconoscere il diritto all'esistenza di altre forme di vivere, stabilire relazioni e produrre non è solo un diritto che qualunque occidentale sostiene nella Dichiarazione dei Diritti Umani, ma diventa anche una possibilità di ritrovare cammini perduti ad Occidente: la misura delle cose. L'etnocentrismo occidentale acceca nella maggior parte delle osservazioni la nostra presunta oggettività. Non solo dobbiamo rispettare le altre culture per coerenza con la nostra tradizione formale; la loro vita, soprattutto, può aiutarci a relativizzare la nostra opulentemente miserevole civilizzazione.

"Il fatto è che all'opulenza si può giungere per due cammini differenti. Le necessità si possono soddisfare facilmente o producendo molto, oppure desiderando molto poco. La concezione più diffusa, allo stile di Galbraith, si basa su dei presupposti particolarmente appropiati all'economia di mercato: che le necessità dell'uomo sono grandi, per non dire infinite, mentre i suoi mezzi sono limitati, per quanto possono aumentare. È cosí che il divario che si produce tra mezzi e fini può venire ridotto tramite la produttività industriale, almeno fino a determinare che i "prodotti di prima necessità" tornino ad essere abbondanti. Esiste però anche un cammino zen verso un'opulenza che parte da premesse diverse dalle nostre: che le necessità materiali umane sono finite e scarse, ed i mezzi tecnici inalterabili però, per regola generale, adeguati. Adottando la strategia zen, un popolo può godere di un'abbondanza materiale incomparabile [...] con un basso livello di vita."
"

È questo, a mio parere, il miglior modo di descrivere i cacciatori-raccoglitori, e quello che aiuta a spiegare alcune delle condotte economiche più curiose, come per esempio la "prodigalità", vale a dire la tendenza a consumare rapidamente tutte le riserve di cui dispongono come se non dubitassino neppure per un momento di poterne ottenere di nuove." Liberati dalle ossessioni della scarsità, il non avere mai fretta, il "lavorare" tra le 20 e le 30 ore alla settimana, l'avere molto tempo libero per dormire, per conversare, per farsi visite, per danzare e mangiare in comune, il non-esaurimento -irreversibile- dell'ambiente naturale, il valore della persona, considerato più importante della semplice copertura delle necessità materiali, l'assenza di fame cronica.... sono le principali caratteristiche di questo modo di vita considerato dall'Occidente come "primitivo" ma anche, nello stesso tempo, come "paradiso perduto".

Viceversa, la visione che abbiamo delle condizioni di vita "primitive" è quella che ci hanno trasmesso la maggior parte di antropologi: ""Una semplice economia di sussistenza", "tempo libero limitato, salvo circostanze eccezionali", "richiesta incessante di alimenti", risorse naturali "magre, sulle quali si può riporre una fiducia solo relativa", "assenza di eccedente economico"[...]; cosí si esprime, in generali, l'opinione antropologica nei rigurdi della caccia e della raccolta."
"È possibile che quest'opinione sia uno dei più chiari pregiudizi contro il Neolitico, un apprezzamento ideologico sulle capacità del cacciatore di sfruttare le risorse della Terra, fatto che sta molto in accordo col tentativo di privarlo di questo bene. Abbiamo ereditato questo pregiudizio dalla discendenza di Giacobbe, che si "disperse verso l'ovest, verso l'est e verso il nord" ai danni di Esaú, che era il primogenito ed un ingegnoso cacciatore, ed al quale, in una famosa scena, privarono della primogenitura."

Per altro verso, sarebbe conveniente una visione più lucida e realista rispetto alle meraviglie della nostra civilizzazione occidentale: "Il sistema industriale e di mercato istituisce la povertà in un modo che non si presta a confronti e ad un grado che, fino ai nostri giorni, non si era mai raggiunto neppure per approssimazione. Laddove la produzione e la distribuzione si reggono in base al comportamento dei prezzi, e l'intera sussistenza dipende dai guadagni e dalle spese, l'insufficienza di risorse naturali si converte nel più chiaro e misurabile punto di partenza dell'attività economica."
"La penuria costituisce il verdetto che la nostra economia ha dettato, e per tanto è anche l'assioma che la regge: l'applicazione di mezzi insufficienti davanti a fini antagonici per ottenere la maggior soddisfazione possibile nelle circostanze date."
"Avendo attribuito al cacciatore impulsi borghesi e strumenti paleolitici, giudichiamo la sua situazione disperata."
"Ci sentiamo inclini a pensare che i cacciatori-raccoglitori sono poveri perchè non hanno niente; ma forse val la pena pensare che per questo stesso motivo sono liberi. "I loro possedimenti materiali limitati fino all'estremo gli evitano di aversi da curare in alcun modo delle necessità quotidiane e gli permettono di godere della vita (Gusinde, 1961).""

L'autore arriva paradossalmente alla sovversività: "La quantità di lavoro (pro-capite) aumenta con l'evoluzione della cultura mentre diminuisce la quantità di tempo libero."
"Ma soprattutto, cosa dobbiamo dire del mondo d'oggi? Si dice che da un terzo alla metà dell'umanità se ne va a dormire con fame. Nell'antica Età della Pietra la proporzione doveva essere molto minore. L'epoca in cui viviamo è di una fame senza precedenti. Oggi, nell'epoca del più grande potere tecnologico, la fame è un'istituzione. Possiamo ribaltare un'altra venerabile massima: la fame aumenta in termini relativi ed assoluti con l'evoluzione della cultura.

"Questo paradosso corrisponde totalmente al mio punto di vista. I cacciatori ed i raccoglitori hanno un basso livello di vita per la forza delle circostanze. Però, considerato il loro "obiettivo" e i loro mezzi di produzione ad esso adeguati, possono di regola soddisfare facilmente tutte le loro necessità materiali. L'evoluzione dell'economia ha conosciuto, a partire da allora, due movimenti contradditori: l'arricchimento, ma simultaneamente l'impoverimento, l'appropriazione della natura, ma l'espropriazione in relazione all'uomo. L'aspetto progressivo è senza dubbio tecnologico. Quest'ultimo si è manifestato in molti modi: come un aumento dell'offerta e della domanda di beni e servizi, della quantità di energia posta al servizio della cultura, della produttività, della divisione del lavoro e della libertà in relazione ai condizionamenti dell'ambiente."

"Le popolazioni più primitive del mondo avevano scarsi possedimenti, ma non erano povere. La povertà non è una determinata e piccola quantità di cose, e neppure una relazione tra mezzi e fini, è soprattutto una relazione tra le persone. La povertà è uno stato sociale. E come tale è un'invenzione della civilizzazione. È cresciuta con la civilizzazione, come gelosa distinzione tra classi e, fondamentalmente, come una relazione di dipendenza che può rendere gli agricoltori maggiormente soggetti alle catastrofi naturali di qualunque accampamento invernale degli eschimesi dell'Alaska."

"Le economie primitive erano sottoproduttive. Una gran parte di esse, tanto le agricole come le preagricole, sembra che non sfruttino tutte le loro potenzialità economiche. La capacità di lavoro è utilizzata in modo insufficiente, i mezzi tecnologici non vengono usati pienamente e le risorse naturali non vengono sfruttate". "La produzione è bassa in relazione alle possibilità esistenti. Intesa in questo modo, la sottoproduzione non è incompatibile con una primitiva "opulenza"."

"Il "problema economico" si può risolvere facilmente usando le tecniche del Paleolitico. Da cui se ne deriva che solo quando la cultura si è avvicinata ai vertici dei suoi esiti materiali, giunge ad erigere un altare all'Irraggiungibile: le Necessità Infinite."
Questi riferimenti alla diversità umana nel passato e nel presente, su come impostare l'economia, possono provocare una certa nostalgia del paradiso perduto, un'ansia idealista di ritorno impossibile. È questa la condanna d'Occidente: studiare, conoscere, comparare altre forme di vita umana, sapendo che non si può tornare indietro. Ma non tornare indietro non vuol dire però difendere incondizionatamente tutto il presente come unico cammino di futuro. Una delle cose che l'Occidente possiede davvero è la sua volontà e capacità di modificare la storia in funzione della progressiva presa di coscienza del fatto che esiste sempre una diversità di opzioni.

Parallelamente a questa presa di coscienza della "fragilità ed utopia dell'universalizzazione del progresso e dello sviluppo senza fine", abbiamo bisogno di trovare cammini che permettano riorientare, prima che sia troppo tardi, la direzione suicida in cui abbiamo spinto la vita del Pianeta.
Da dove cominciare? Dalla coscientizzazione e dal cambiamento di mentalità? Però in che modo, dal momento che i mezzi di formazione, di comunicazione e d'informazione plasmano le coscienze ed i valori della maggioranza degli abitanti del pianeta secondo il modello occidentale dominante? Come poter liberare queste istituzioni dalla dipendenza degli Stati e delle grandi imprese?

Se vogliamo cominciare dal cambiamento politico, in che modo possiamo ottenere che le organizzazioni ed i partiti politici non siano così condizionati da quelli che sostengono le loro campagne elettorali?
Se vogliamo cominciare dal cambiamento economico, come poter superare le crisi mentre la scienza economica sta procedendo a tentoni?
Se vogliamo cominciare dalla conversione interiore, come possiamo raggiungerla finchè lo "spirito di libertà" si trovi in gran parte imprigionato dalle istituzioni religiose che servono il potere?

Se vogliamo cominciare dai cambiamenti ecologici o dalle relazioni Nord-Sud, in che modo impedire che i grandi gruppi di pressione e gli Stati con diritto di veto boicottino più o meno apertamente tutte le decisioni che li danneggiano?
Possiamo formularci la stessa domanda in relazione ad un altro tema: come possiamo cominciare un cambiamento del sistema monetario se la moneta anonima attuale è un'arma sottile utilizzata da tutti questi poteri di fatto per impedire quei cambiamenti che sarebbe urgente avviare? Probabilmente, una delle differenze risiede nel fatto che modificare il tipo di moneta lo si può fare con un decreto-legge, in un giorno, e che a partire dalla sua introduzione una nuova moneta informativa e responsabilizzante può contribuire alla soluzione della maggior parte di difficoltà che abbiamo appena esposto. Viceversa, cambiare una qualunque altra struttura richiede processi molto complessi, lunghi e laboriosi. Arrivati a questo punto, possiamo aver appreso dalla storia che qualunque grande cambiamento rivoluzionario si trova alla fine bloccato da altri grandi problemi irrisolti, ed avvelenato dall'anonimato della moneta, che fa marcire nuovamente ogni cosa.

All'inizio del capitolo abbiamo affermato che la modificazione dello strumento monetario era un'ipotesi più positiva e fattibile delle altre due. Vediamo ora la sua fattibilità sociale, e lasciamo quella tecnica per i prossimi capitoli. L'affermazione secondo cui è più facile un cambiamento strumentale (strumento per altri cambiamenti) che non un cambiamento diretto di strutture complesse (si tratti di strutture economiche o politiche, oppure di quelle, ancora più complesse, culturali-"interne") è ancora un'ipotesi. Vale a dire che non è stata ancora sperimentata consapevolmente fino ad ora, e da questo punto di vista presenta dei vantaggi rispetto alle altre "rivoluzioni".

Questa proposta di riforma monetaria, di un cambiamento strumentale, ha a suo favore il fatto che, a differenza di altre rivoluzioni che esigono il cambiamento di abitudini ed istituzioni che la maggior parte degli occidentali accetta come "normali" (abolizione della proprietà privata, della democrazia parlamentaria, delle libertà formali...), il cambiamento del tipo di moneta non attacca l'esistenza di queste istituzioni, ma attacca invece ciò che queste stesse istituzioni e l'opinione pubblica denunciano come pericolo per lo Stato di Diritto: l'incapacità di lottare contro la corruzione e la delinquenza; l'inefficacia del sistema giudiziario; l'irresponsabilizzazione degli atti liberamente compiuti, tanto nel mercato come nella politica; la diseguaglianza d'opportunità; la redistribuzione economica insolidale; un fisco eccessivo e non equitativo; la disinformazione manipolata; la mancanza di partecipazione nei sistemi di presa delle decisioni politiche... Vale a dire che il cambiamento di moneta può approfondire la tradizione democratica e mercantile. Se l'uguaglianza giuridica e la libertà personale sono proclamate formalmente, dobbiamo trovare i mezzi perchè questi valori siano costretti a concretizzarsi nella maggioranza delle situazioni.

Anche nell'Occidente socialista si potrebbe stabilire un parallelismo d'ipocrisia sociale tra i diritti formali proclamati ai quattro venti e la realtà. Ma al punto in cui sono arrivate le cose non vale forse la pena. I fatti sono più eloquenti delle analisi.
Forse dai due sistemi fino ad ora in conflitto potremmo trarre una sintesi creativa che utilizzi gli elementi positivi di entrambi, grazie, precisamente, alla possibilità offerta dal nuovo tipo di moneta di autocontrollare gli accordi presi in comune in una nuova Europa non divisa in blocchi nè in Stati-nazione.

Note:

1 TEMPLE, Dominique, Alternatives au Développement, Centre Interculturel Monchanin, Montreal, 1988, p. 105.
2 Idem, p. 105.
3 Idem, p. 105.
4 SAHLINS, Marshall (1974), Economía de la Edad de la Piedra, Akal Universitaria, Madrid, 1983, pp. 13-14.
5 Idem, p. 14.
6 Idem, p. 14.
7 Idem, p. 15.
8 Idem, p. 16.
9 Idem, pp. 16-17.
10 Idem, p. 17.
11 Idem, p. 27.
12 Idem, p. 50.
13 Idem, p. 51.
14 Idem, p. 52.
15 Idem, p. 55.
16 Idem, p. 53.







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